“Sono un uomo, e perciò nulla di ciò che è umano mi è estraneo”, scriveva Terenzio al tempo dell’antica Roma. Gli esseri umani hanno un senso comune di ciò che rappresenta l’esperienza vitale quotidiana, e tale senso, aleatorio, volatile, liquido, è quello più generico ma universale di cultura.
Fare le cose quasi come gli angeli
Col passare dei secoli, sino al Medioevo, il significato di cultura resta legato al concetto di realizzazione degli uomini liberi, nonostante le tante trasformazioni della società in seguito alla caduta dell’impero romano, alle invasioni barbariche e alla successiva affermazione del Cristianesimo. È lo stesso Dante a scrivere che, siccome il singolo individuo si perfeziona in saggezza e sapienza, allora anche tutto il genere umano, per estensione, può vivere libero e prendersi cura delle sue attività in modo “poco inferiore agli angeli”.
Per esserci cultura, dev’esserci uno sviluppo delle qualità interiori, che solo gli uomini veramente liberi possono raggiungere. Lo esprime Dante, tant’è che un secolo dopo la morte del Poeta il termine cultura indica ancora il concetto latino di humanitas, e lo esprimono 200 anni dopo filosofi quali Pufendorf e Bacone; successivamente Kant e Leibniz riprendono il concetto per intendere quel processo di formazione personale che permette di perfezionarsi.