Il termine civiltà

Finché i pensatori illuministi non irrompono sulla scena, la cultura resta esclusiva dell’élite intellettuale, unica in possesso delle facoltà superiori. Il popolo ne è escluso in quanto intrinsecamente ignorante.

Col termine civiltà è espressa invece l’appartenenza alla città, intesa come contesto politico, modi di vivere e abitudini contrapposti a quelli agricoli (considerati primitivi). Proprio gli illuministi utilizzano civiltà e “civilizzazione” per porre in contrasto la vita intellettuale e progredita dell’ambiente urbano, rispetto a quella asociale e istintiva dei popoli barbari, che difettano anche di organizzazione razionale.

È così che vengono poste le basi per quello che a lungo verrà considerato un binomio inscindibile, da un lato la società avanzata sia in termini appunto culturali (ossia razionali) che tecnologici, dall’altro l’ideale del selvaggio primitivo che vive nella natura. E però gli illuministi criticano fortemente il significato aristocratico di cultura, intenso come buone maniere, bensì ne abbracciano il senso di patrimonio dell’intero genere umano.

Il 900

Nel XIX e soprattutto nel XX secolo, civiltà e cultura hanno preso due strade molto distinte che ancora attualmente non sembrano convergere: mentre la seconda è stata e continua a essere oggetto di dibattito e riflessioni sul significato e le sue conseguenti applicazioni, la prima ha avuto più successo nell’evitare di incastrarsi in connotati scientifici, rivelandosi piuttosto un’idea – o un modello da seguire.

Pensiamo a come definiamo noi stessi quando parliamo di civiltà occidentale, sottintendendo un ideale etnocentrico superiore alle altre civiltà, che oggi certamente non consideriamo barbare, ma che – sotto sotto – continuiamo a discriminare.